XRONOMAXIA

la battaglia del tempo

ENSEMBLE MICROLOGUS
DANIELE SEPE UND ROTE JAZZ FRAKTION

SALTARELLO III 
GRAN MIRAGRE (Que poral non devess om’) 
VITE PERDITE CB 124 
VITE PERDITE 
SUITE GALIZIANA 1 
SUITE GALIZIANA 2 
LA MANFREDINA
LA ROTTA
TEMPUS TRANSIT GELIDUM 
UT SOLIS RADIUM (Stella Splendens) 
MADRE DE DEUS 
VIVIMUS (Stayin’ alive) 
NORWEGIAE LIGNUM (Norwegian wood) 

ENSEMBLE MICROLOGUS

Patrizia Bovi
Canto, arpa gotica, castagnette, buccina
Simone Sorini
Canto, chitarra latina, liuto
Adolfo Broegg
Oud, buccina
Goffredo Degli Esposti
Flauto traverso, flauto doppio,
kaval, cialamello, zufolo e tamburo
cornamusa, ciaramella
Gabriele Russo
Viella, lira calabrese, cornamusa, buccina
Gabriele Miracle
Salterio a percussione,
tamburello, tammorra, darbukka,
bendir, riqq, castagnette

ROTE JAZZ FRAKTION

Auli Kokko
Voce, percussioni
Antonino Iuorio
Voce recitante
Daniele Sepe
Sax tenore, sax soprano curvo e diritto,
clarinetto turco in sol, chalumeaux,
gralla,flageolet
Gianfranco Campagnoli
Tromba
Roberto Schiano
Trombone

Luca Martingano

Corno
Franco Giacoia
Chitarra elettrica, chitarra fretless
Piero De Asmundis
Piano acustico, piano Rhodes, Prophet, Honher clavinet
Lello Petrarca
Basso elettrico, Rhodes, Microkorg
Masssimo Cecchetti
Basso elettrico
Roberto D’Aquino
Basso elettrico
Aldo Vigorito
Contrabasso
Roberto Lagoa
Congas, bongos, tamburello, shaker, cabasa
Marzuk Meijri
Darbuka, daf, ney
Claudio Marino
Batteria
Lello De Fenza
Batteria

...delle racenzioni una per tutte:

Potrebbero scriverglielo sul frontespizio dei dischi: "non mi prenderete mai vivo!". Daniele Sepe è difficile da inquadrare, ancora di più da etichettare o da definire. Fa musica a 360°. "Jurnateri" era un disco di musica popolare internazionale, "Anime candide" uno sporco disco di rock, "Sturiellet" aveva parentele con la classica, "La banda dei pezzenti" sapeva di jazz e "Suonarne 1 x edicarne 100" era rock blues. E Kromantica? E' cantato in latino e si occupa di musica antica, medioevale, con due vistose (e gaudiose) eccezioni. Eppure è un disco meraviglioso!
Scrive Daniele nella presentazione al disco (e teniamo a mente che le presentazioni di Daniele Sepe sono un valore aggiunto per i suoi cd): "E quindi, senza farvela lunga, dopo aver tanto seguito questa musica, ho avuto la fortuna di incontrare sul mio cammino questi bei tipi dei Micrologus. E, tra parentesi, scopriamo di avere in comunque anche una militanza "pienamente" sinistrorsa. E allora via con questo progetto "Kronomakia" - la battaglia dei tempo, titolo suggerito da Stefano Valanzuolo per un mitico concerto nel chiostro di San Francesco Sorrento". E prima spiega: "è come ritrovarsi in trattoria con un dinosauro seduto al fianco". E' l'esatta sensazione che il disco fa. Prende musiche remote e le intinge in un bagno di presente. Il risultato è spiazzante. E straordinario.
D'altra parte un disco simile non si può che amarlo alla follia o rigettarlo totalmente: ho scelto la strada dell'amore incondizionato, ma brani come "La Manfredina" non potevano che portarmi su questa strada. Una danza italiana della fine del XIV secolo, conservata in un manoscritto a Londra, in due sezioni, dove la stessa melodia è eseguita prima lentamente in tre tempi e poi, nella rotta, precipitosamente in due. Sono 7'24" la prima parte e 1'54" la seconda, ma si tratta di pura passione.
Cerchiamo di spiegare l'insieme del lavoro, utilizzando la presentazione di Stefano Valanzuolo: "Che la Storia si possa definire una guerra illustre contro il tempo, una sorta di "Kronomakia" insomma, lo diceva già qualcuno nell'Ottocento e con maggiore autorevolezza di noi. La Storia tutta, compresa quella della musica, così legata nel suo evolversi a meccanismi di azione e reazione più o meno occulti; così lineare all'apparenza e, invece, fitta di intrecci imperscrutabili a proposito dei quali, oggi, si parlerebbe di fusion con assoluta nonchalance. Andando a ritroso nel tempo, si scoprono nel Medioevo, specie in quel periodo compreso tra il fatidico anno Mille ed il secolo XIV, i segni di una vivacità ancora più ribollente e composita. La contaminazione, di cui troppo si discute oggi in musica e non solo, ha dunque radici antiche".
E allora Sepe e i Micrologus, danno alla luce oggi un album inciso nel 2006, prodotto nel 2007 e che ospita musiche che vanno dal canto gregoriano, ai Carmina Burana, alla musica dei troubadors e dei menestrelli, fino a quella dei clerici vaganti e dei gogliardi (gli attuali "studenti fuori sede"? O quelli dell'Erasmus?), per arrivare a Carlo Orff, alle Cantigas spagnola ed al loro legame stretto con la tradizione arabo-andalusa. Come dice ancora Sepe: "Insomma Wagner non sarebbe esistito senza l'apporto di illustri anonimi musicisti di ascendenza mediorientale. Il mischiarsi delle razze e delle culture porta sempre l'umanità un passo avanti". Da sottoscrivere.
I passi in avanti qui sono tanti e così ampi e ben distesi che ci si può permettere senza offendere né scandalizzare nessuno di chiudere con due brani come "Vivimus" che il libretto del disco descrive così: "canzone da ballare fortuitamente trovata tra i manoscritti della Biblioteca dei Travoltini in Napoli, durante la lavorazione di questo cd. Questa danza era uso eseguirla in coppie il sabato notte, con delle figure coreutiche in cui mani e piedi si dimenavano furiosamente. Oscure le origini dell'autore, probabilmente uno pseudonimo, Biggissio da Novajorka". Se non l'avete ancora capito si tratta di "Stayin' alive" dei Bee Gees da "La febbre del sabato sera". Un colpo di teatro.
Bissato subito sotto, in chiusura del disco, da una maestosa "Norwagiae Lignum" (qui è più facile: si tratta di "Norwegian Wood" dei Beatles). "Alcuni studiosi sostengono che sia alla base della forma-canzone contemporanea e che abbia ispirato un famoso brano di un importante gruppo Britannico". E siamo dentro a "Non ci resta che piangere" nel momento in cui Massimo Troisi re-inventa "Yesterday", dello stesso gruppo britannico, per far colpo su una damigella. I Beatles reinventati in latino ci offrono 6'29" di musica suonata dagli angeli. Imperdibile

Giorgio Maimone - Il Sole 24 Ore

 

Che la Storia si possa definire una guerra illustre contro il tempo, una sorta di “Kronomakia” insomma, lo diceva già qualcuno nell’Ottocento e con maggiore autorevolezza di noi. La Storia tutta, compresa quella della musica, così legata nel suo evolversi a meccanismi di azione e reazione più o meno occulti; così lineare all’apparenza e, invece, fitta di intrecci imperscrutabili a proposito dei quali, oggi, si parlerebbe di fusion con assoluta nonchalance.
In certe epoche, poi, il concorso/scontro di istanze culturali diverse o di segno opposto ha assunto un andamento frenetico, rendendo impossibile racchiudere la creazione, musicale o letteraria che fosse, entro margini inviolabili. La nostra, ad esempio, è una di queste epoche. Ma, andando a ritroso nel tempo, si scoprono nel Medioevo, specie in quel periodo compreso tra il fatidico anno Mille ed il secolo XIV, i segni di una vivacità ancora più ribollente e composita. La contaminazione, di cui troppo si discute oggi in musica e non solo, ha dunque radici antiche.
A spianare la strada all’incontro (solo in apparenza bizzarro) tra l’ensemble Micrologus e Daniele Sepe è la scelta di un repertorio nel quale convivono per natura il tratto colto e quello popolare, l’approfondimento vocale e strumentale, l’accento religioso e profano, nel rispetto di una tendenza storica della musica occidentale medievale capace di trasformare la tradizione in innovazione, non disdegnando di assimilare istanze “altre”, come quelle del mondo arabo.
Per gettare uno sguardo accorto sulla produzione musicale dei primi secoli del secondo millennio, però, occorre fare un passo indietro e prendere in considerazione il ruolo propulsore ricoperto dalla Chiesa, gia dal V secolo, attraverso la codificazione e la diffusione del canto gregoriano. Sottratto ad una funzione voluttuaria (cara a greci e romani) e destinato ad un uso spirituale, ma non per questo meno efficace sul versante sociale, il salmo gregoriano fissava il ruolo predominante della musica vocale su quella strumentale e dell’elemento melodico su quello ritmico. Col tempo, con la lingua latina inquinata dagli influssi volgari emergenti, il canto gregoriano, strettamente modulato sulla parola, avrebbe inevitabilmente assunto altre sembianze (Inni e Sequenze), accedendo ad un’espressività meno rigida, aprendo di fatto la strada alla canzone profana.
Quest’ultima si pone come evoluzione ed insieme reazione nei confronti degli stilemi espressivi “ufficiali”: di tale natura sovversiva è testimonianza l’accanimento col quale la nuova produzione fu a lungo osteggiata dal clero. La musica, dunque, esce dalle chiese e si affida a girovaghi, saltimbanchi che, nel corso degli anni e nei diversi paesi, prenderanno nomi diversi: i jongleurs, faranno spazio ai troubadors (in Provenza), ai trouvéres (nel nord della Francia), ai Minnesänger (in Germania), ed ai menestrelli, così detti per il fatto di “ministrare”, appunto, un ufficio musicale. È in ambito trobadorico che la danza assurge al rango di fenomeno sociale, trovando sviluppi a corte (danza alta) o in contesti assai meno formali, come nel caso del Saltarello o della Manfredina, balli ripresi qui con esempi di fine Trecento ricavati da un manoscritto custodito a Londra.
Tra le molte nuove figure impegnate a diffondere il verbo musicale, un posto di rilievo spetta ai clerici vagantes ed ai goliardi (studenti girovaghi costretti a spostarsi per le varie città d’Europa per seguire le lezioni), beffardamente distanti dall’ufficialità liturgica e cortigiana, avvezzi ad un linguaggio che del latino si serve in termini parodistici, contaminandolo con espressioni della nascente lingua volgare. I Carmina Burana - ritrovati nel 1803 presso il convento benedettino di Beuren e resi celebri, nel ventesimo secolo, soprattutto da Carl Orff in una versione spuria sinfonica - sono appunto opera di questi studenti impertinenti e colti: si tratta di canzoni profane scritte intorno al 1230, in cui si celebra la natura (“Tempus transit gelidum”) o le gioie del cibo e dell’amore, fino ad attaccare il potere (“Vite perdite”) rivelandone la corruzione con ammirevole coscienza critica.
Non si pensi, comunque, che l’elemento sacro scompaia del tutto dalla produzione musicale fiorita intorno al Due e Trecento. In Italia, ad esempio, accanto all’affermarsi della poesia trobadorica, si assiste al nascere della Lauda, connessa al boom del francescanesimo e di altri fenomeni religiosi. Analogamente, in Spagna prende piede la Cantiga, evoluzione coerente, in senso storico-culturale, dell’inno gregoriano. Sul piano formale, la Cantiga (così come la Lauda) presenta innovazioni non trascurabili, poggiando su un riferimento tonale finalmente concluso dal quale il canto popolare - specie quello di derivazione araba, molto influente in Spagna - aveva insegnato a non prescindere. Le Cantigas de Santa Maria rappresentano la più importante raccolta di canti religiosi di ispirazione popolare del tempo; fu il Re Alfonso X di Castiglia a riunire i contributi di vari poeti musicisti in un’unica opera, giunta a noi in un prezioso codice di fine Duecento che rappresenta, tra l’altro, una  straordinaria fonte iconografica per lo studio degli strumenti dell’epoca. A conferma del legame forte tra la produzione spagnola e quella di derivazione araba-andalusa c’è il fatto che poemi mozarabici di vari autori, come Al Quazzal Malaqui, venissero modulati di frequente su melodie già esistenti, spesso ricorrendo proprio alle Cantigas.
Di argomento religioso è infine anche “Stella Splendens”, tratta dal Libre Vermell de Montserrat, un manoscritto del XIV secolo trovato nei pressi di Barcellona: canti del genere dovevano allietare i pellegrini che si recavano al monastero di Montserrat, appunto, accompagnandone le danze sul sagrato.
Stefano Valanzuolo